Arte e politica
Un connubio indissolubile
L’aver offerto all’arte la priorità sulla vita ha indotto Venanti a trasferire sulla tela i sentimenti e le aspirazioni di cui si è sempre alimentato. I problemi che lo coinvolgono, la sopraffazione e l’inganno, sono i due “corridoi” attraverso i quali lo spazio dell’opera si popola dei drammi e delle miserie di una società in declino. Ragioni che lo allontaneranno sempre più dal prediligere la rappresentazione del paesaggioe da ogni forma di contemplazione.
Forte del legame tra aspirazione sociale e mutamenti storici, l’Artista instaura con i personaggi una sorta di dialogo, che se non sfiora la confessione tende ad aprire un varco allo svelamento dell’essere. Un atteggiamento che riflette sincerità e partecipazione, e che ha condizionato gli studiosi sul senso “sociale” dell’arte, spesso, ed erroneamente, interpretato come una forma di “ideologia”. Quanto l’Artista propone è invece la presentazione storica di un’umanità riconducibile ad un ambiente, colta nei suoi atteggiamenti più comuni: donne del popolo, contadini, operai, minatori al lavoro. Personaggi adombrati dallo spettro della miseria e della sofferenza, ma non per questo privi della loro dignità. Sono uomini d’alto livello morale, bisognosi d’attenzione e sostegno; principale interesse di vita, non idillio di un paesaggio al tramonto. Certo, Venanti non disdegna il paesaggio, ma quando è proposto, come nella serie di “marine”, è in funzione all’attività lavorativa dell’uomo. Una rappresentazione religiosa, perciò, perché il messaggio che svela è biblico. Soccorrere il fratello ingiustamente offeso nello spirito e nella carne, lacerato dalla fame e dalla malattia, crocifisso come un malfattore e calunniatore, è la costante evangelica che viene disattesa.
A questa visione è da connettere il ciclo dei Barbari. Messo in luce negli anni 1970-1993, è nella realtà una propaggine del “senso del sociale”; una riproposizione critica di fantasmi che si aggirano come messaggeri di una rivoluzione, ma il cui fine è la conservazione del potere. Eccoli “rappresentati in tutta la loro truce arroganza; in tutta la loro insolente laidezza, in tutto il loro sprezzante disprezzo, avanzare su cavalli, fissi ed immobili (…) ricoperti di corazze e maschere, da palandrane e gualdrappe, scorrazzare tra i nostri sentimenti, umiliare la nostra onestà, calpestare la nostra sincerità, vanificare le nostre memorie, distruggere tutto ciò che di più alto, puro e poetico l’uomo ha creato per sostituirlo con la barbarie del denaro, del profitto, dell’egoismo, della tracotanza e della disperazione” (L. Lepri).
È qui che si annida il sarcasmo contro ogni tipo di nevrosi. L’Artista denuncia l’orrore della storia, l’impossibilità di liberarsi da una società militarmente e politicamente organizzata. Denuncia che abbraccia le violenze del sesso, la provocazione, la frustrazione, l’ipocrisia delle convenzioni sociali, il falso slancio di solidarietà e d’evoluzione del genere umano. Una denuncia fatta col mezzo più congeniale: la pittura. Venanti crea piani che si compenetrano, animati da personaggi solo apparentemente casuali, tratti dalle cronache locali o dalla storia. “Giocate su più piani, scandite come fotomontaggi di ricordi e di presenze, con incastri, associazioni e antifrasi che rimandano alla lezione surrealista e freudiana, le composizioni (…) riflettono solo in apparenza un mondo svincolato dai lacci del reale, costituendosi, invece, come lacerti (…) della stessa realtà” (D. Petrocelli).
Nel settembre del 1996, nella Casa natale di G. D’Annunzio a Pescara, Venanti presenta col titolo Seduzioni e Sedizioniuna serie d’opere prodotte tra il 1980 e il 1995 nella quale mette a fuoco la poetica del “femminino”. Il fascino della donna non è mai stato nascosto. Anzi, è sempre Venanti ad affermare che “le donne sono gli animali più pittorici, oltre che più pittoreschi, che possono insegnare ad un artista il gusto di vivere e la voglia del misterioso”. Qui troviamo l’attuazione più significativa, sintomatica di una condizione che fa dell’uomo un avido seduttore o un sedotto. L’aspetto caratterizzante è, tuttavia, che a sedurre e farsi sedurre non sono solo gli altri, i rappresentanti della società del benessere, ma anche l’artista, ritratto come un Caravaggio contemporaneo a spiare, a raccogliere indizi di un genere d’immagine che della realtà conserva la parvenza.
La struttura stessa dell’opera si presta a molteplici riflessioni. Intanto, ad esempio, alla scomposizione dello spazio, spesso ordinato secondo sequenze che si spengono in profondità (La modella), altre volte entropico, frastagliato in innumerevoli campiture e coordinato da una velata linea sinuosa (Entropia I), altre volte, ancora, dilazionato ma sovraccarico di note cromatiche chiassose (La fuga, Il grande scontro, ecc.). Ma anche la perdita del “centro” è motivo di riflessione: posto fuori campo, il soggetto impegna l’osservatore nell’atto della traslazione. Opere “ai margini”, che se non hanno anticipato la Poesia Visivadegli anni Sessanta-Settanta è perché condotta sul filo della figurazione.
Tratteggiare l’opera, dividerla in campi, ridurla ad un insieme geometrico (nonostante l’odio per il disegno geometrico), ad una finestra, è per Venanti il modo ideale per sociale”; una riproposizione critica di fantasmi che si aggirano come messaggeri di una rivoluzione, ma il cui fine è la conservazione del potere. Eccoli “rappresentati in tutta la loro truce arroganza; in tutta la loro insolente laidezza, in tutto il loro sprezzante disprezzo, avanzare su cavalli, fissi ed immobili (…) ricoperti di corazze e maschere, da palandrane e gualdrappe, scorrazzare tra i nostri sentimenti, umiliare la nostra onestà, calpestare la nostra sincerità, vanificare le nostre memorie, distruggere tutto ciò che di più alto, puro e poetico l’uomo ha creato per sostituirlo con la barbarie del denaro, del profitto, dell’egoismo, della tracotanza e della disperazione” (L. Lepri).
È qui che si annida il sarcasmo contro ogni tipo di nevrosi. L’Artista denuncia l’orrore della storia, l’impossibilità di liberarsi da una società militarmente e politicamente organizzata. Denuncia che abbraccia le violenze del sesso, la provocazione, la frustrazione, l’ipocrisia delle convenzioni sociali, il falso slancio di solidarietà e d’evoluzione del genere umano. Una denuncia fatta col mezzo più congeniale: la pittura. Venanti crea piani che si compenetrano, animati da personaggi solo apparentemente casuali, tratti dalle cronache locali o dalla storia. “Giocate su più piani, scandite come fotomontaggi di ricordi e di presenze, con incastri, associazioni e antifrasi che rimandano alla lezione surrealista e freudiana, le composizioni (…) riflettono solo in apparenza un mondo svincolato dai lacci del reale, costituendosi, invece, come lacerti (…) della stessa realtà” (D. Petrocelli).
Nel settembre del 1996, nella Casa natale di G. D’Annunzio a Pescara, Venanti presenta col titolo Seduzioni e Sedizioniuna serie d’opere prodotte tra il 1980 e il 1995 nella quale mette a fuoco la poetica del “femminino”. Il fascino della donna non è mai stato nascosto. Anzi, è sempre Venanti ad affermare che “le donne sono gli animali più pittorici, oltre che più pittoreschi, che possono insegnare ad un artista il gusto di vivere e la voglia del misterioso”. Qui troviamo l’attuazione più significativa, sintomatica di una condizione che fa dell’uomo un avido seduttore o un sedotto. L’aspetto caratterizzante è, tuttavia, che a sedurre e farsi sedurre non sono solo gli altri, i rappresentanti della società del benessere, ma anche l’artista, ritratto come un Caravaggio contemporaneo a spiare, a raccogliere indizi di un genere d’immagine che della realtà conserva la parvenza.
La struttura stessa dell’opera si presta a molteplici riflessioni. Intanto, ad esempio, alla scomposizione dello spazio, spesso ordinato secondo sequenze che si spengono in profondità (La modella), altre volte entropico, frastagliato in innumerevoli campiture e coordinato da una velata linea sinuosa (Entropia I), altre volte, ancora, dilazionato ma sovraccarico di note cromatiche chiassose (La fuga, Il grande scontro, ecc.). Ma anche la perdita del “centro” è motivo di riflessione: posto fuori campo, il soggetto impegna l’osservatore nell’atto della traslazione. Opere “ai margini”, che se non hanno anticipato laPoesia Visivadegli anni Sessanta-Settanta è perché condotta sul filo della figurazione. Tratteggiare l’opera, dividerla in campi, ridurla ad un insieme geometrico (nonostante l’odio per il disegno geometrico), ad una finestra, è per Venanti il modo ideale per fondere astratto e figurativo. Una resa sintetica che trova nelle trasparenze degli anni ’75-’85 la sua massima espressione.
Anche laddove l’Artista fa uso di colori brillanti, forti, non sempre la scelta è operata in funzione ad uno stato di serenità; a volta, invece, è conseguenza di suggestioni oniriche, di visioni inquietanti. È il caso del ciclo sulla Rivoluzione francese o sul Fascismo. Qui ad emergere è si lo spettro della paura e dell’emarginazione, ma è soprattutto la ferrata critica d’annichilimento che si configura come ironia su chi detiene il potere. Si deve a questa suggestioni la spavaldica rappresentazione di “Generali” e soldato intenti a numerare i piccioni da colpire (I bersagli), o ad atteggiarsi a marionettisti (La marionette) o spaventapasseri (Lo spaventapasseri). Ma si deve all’ironia anche la rappresentazione dei falsi intellettuali impegnati nello studio di nuovi disastri (Impegnato sul canapè), o del “Grande dittatore”, davanti al quale si svolge, fotogramma per fotogramma, la storia dell’umanità. Merita rilevare, infine, che negli strali del sarcasmo non cadono solo i politici ma anche personaggi religiosi, nel mezzo dei quali la donna n’è il contorno non del tutto secondario. Testimonianza di una storia intensa, dunque, descritta come “pausa teatrale”, immobile. Una pittura dissacratrice, ma indicativa di una sensibile e rinnovata responsabilità critica.