Il femminino
la poetica dell’inviolabile
Scorrere le opere è come assistere in un teatro alla rappresentazione dell’arte novecentesca interpretata quasi esclusivamente da personaggi femminili. È la nota dominante che, nonostante le critiche mosse dai Futuristi, si mantiene nel tempo. Una ragione in molti casi vitale, ma anche una specie di malattia. Un bisogno che, secondo Freud, nasce da un’esigenza di “completamento”, anche quando non sembra evidente. È il lato dell’artista, ma anche la sua forza, la linfa per la quale è chiamato a creare, a fare del manufatto un’opera d’arte. Una poetica, dunque, anche quando non è data di percepirla perché nascosta tra le pieghe delle forme o soppressa nella straziante linea dell’astrattismo o dell’informale.
In Venanti è una costante, non solo nella giovinezza ma anche nella piena maturità. La si trova proposta in vari modi, sia come sostegno portante di quel filone denominato “barocco”, “bella époque”, ecc. sia in quello “ironico” e “satirico”; nella grafica come nella pittura, ovunque è regina: curata nei particolari o nella sintesi plastica; adombrata da colori pastello o da pennellate vigorose e possenti. È il “femminino” dell’uomo-artista, ma è anche quanto l’arte riesce a tradurre in termini di percezione del bello, di piacevole, di sensuale. Aspetti che esplichino il sensostesso dell’Arte, anch’essa bella, piacevole, vitale. Arte e Femmina: un connubio assoluto, l’unico che si offre ad un’eventuale definizione. Non secondo Croce, una delle molte forme ma la radice del sentimento stesso. Arte perché Femmina, accattivante, lussuriosa, a volte anche banale, ma sempre principio di vita.
“Raffinato interprete di questa caduta peccaminosa dei sensi – scrive Gasbarrini – Venanti utilizza l’arma irresistibile del colore per sedurre, e farsi sedurre, da questi nudi diafani materializzatisi sulla tela come per incanto, tanti e tali sono le trasparenze, le variazioni tonali del rosa-carne palpitanti nell’eccitazione erotica delle com/penetrazioni di grigi, azzurri, viola, bianchi, rossi orgiasticamente aggrovigliati in un amplesso senza fine”.
L’Artista non ha dedicato alla donna solo l’opera ma anche i pensieri. Questo è forse il lato più emblematico dell’arte, perché non è mai una proposta sensuale ma la personificazione di uno spirito malinconico, l’immagine arcana di un sorriso che sfiora il sarcasmo, come a sottolineare non tanto il divenire quanto il dissolversi dell’essere. Nuda o vestita, in penombra o in primo piano, ai margini o al centro, modellata con toni squillanti o velata da morbidezza, a fianco d’uomini o d’oggetti, immersa nella natura o nello studio dell’artista, essa emerge come punto nodale dell’opera, sia inserita in un perfetto ovale, in un tondo, in un quadrato o in un rettangolo. Seduce con lo sguardo, ma allontana, suscita sogni proibiti e risveglia dal torpore, è guardata ma non sfiorata. È l’Arte, presente ma impenetrabile. Se riusciamo, difatti, a tratteggiarne i connotati è perché resa sensibile dai colori le cui tecniche di rappresentazione variano di continuo, quasi a segnare il ritmo cardiaco dell’Artista. Eccola, perciò, in trasparenza, quasi diafana, oppure virtuosisticamente segnata con colori accesi, vibranti, tratteggiata nei particolari o posta in sottofondo, proposta come “oggetto” da indagare o a “ricordare” nostalgie mai sopite. È l’aspetto peculiare dell’arte di Venanti, il suo lato inviolabile, ciò che lo fa antesignano del Novecento artistico in Umbria.