Dino Pasquali – Dedica a un collega perugino

Se non si vuol ciangottare come le comari di Rocca Cannuccia, oggi trasferitesi d’autorità nelle pubbliche e private televisioni (ma non solamente lì), prima di ogni discussione dovremmo seguire il consiglio di accordarci sul significato delle paro- le. Invece tale esortazione, che potremmo far risalire a Réné Descartes, o ad altro pensatore di cotanta levatura, viene ignorata. Specie dai critici d’arte, individui ora trasformatisi in rappresentanti di commercio che non disdegnano il ricorso ad un metafisico filosofeggiare (quello che sollevava il sarcasmo, o quasi, dei neopositivisti alla Carnap).

Dopo questa premessa ho scomodato la mia sonnolenta eppur copiosa libreria (che, si parva licet componere magnis, non è certo la “leggendaria” biblioteca del gran- de Benedetto da Pescasseroli). Rovista che ti rovisto, ecco quanto ho prelevato fra le definizioni di pittura a partire dalla grecità: “Un piano coperto di varj colori, in superficie di muro, di tavola, di tela, o d’altro; il quale per virtù di linee, d’ombre, di lumi, e di un buon disegno, mostra le figure tonde, spiccate e rilevate”.

Credo che nell’appena citata esplicazione del Baldinucci bene rientri l’iconicità dell’amico Venanti. Per convincermene ho riosservato questa tela di Franco. Uno spazio quadrato aprospettico e suddiviso in due sezioni, delle quali la sovrastante è circa la metà della sottostante. La prima ha colore bianco sporco, la seconda è animata da una nebbia grigio-celeste. Sulla linea marcata che divide le due si avvia un passeraceo con il becco giallastro. Nella “nebbia” appaiono i tre quarti rosacei del volto di una giovane donna, avvenente al pari di una diva del cinema. Seguono affusolate dita di mani. (Già, le mani: banco di prova, “souffre-douleur” di ogni pittore, pur grande che sia.) Tutto il dipinto, sebbene risalga agli Anni ’70, la dice lunga sul figurativismo di Venanti.

 

Estratto da:
60 ANNI IN MOSTRA 1
Franco Venanti & 46 maestri dell’arte contemporanea umbro-toscani
A cura di: Eugenio Giannì