Guido Buffoni – …tra le “cose” di Venanti

Un tuffo al cuore. Sì proprio un tuffo al cuore, forte e profondo, quello che si prova quando Franco apre la porta del suo studio e ci lascia entrare.
Una sensazione rara improvvisamente ci avvolge e, senza tentennamenti, ci proietta in uno scenario fantastico: “la nostra vita”. La nostra vita? Cosa c’entra la nostra vita con quelle forti emozioni che si provano non appena varchiamo la soglia di quel sorprendente simulacro esistenziale? A prima vista sembrerebbe che quel mondo colorato, ricco di gioie ma anche di altrettante dolorose sofferenze sia solo il parcheggio di vecchie cose dismesse, di oggetti logori e sdruciti destinati solamente ad una quanto mai regale rassegna museale.

Ma non è così. Dopo un primo attimo di inevitabile sgomento il cuore si riprende, e il battito si fa nuovamente dolce. Anzi più dolce di prima. è la gioia che ci assale. è la sensazione decisa che non siamo solo nel giardino incantato dei ricordi, ma che ci troviamo proprio “Nel mezzo del cammin di nostra vita/…”. E sì perché Franco – Il Venati per Zaira – altro non è che il Demiurgo incontestato, non solo della sua, ma anche della nostra esistenza. Artefice e padre di quell’universo in cui tutto ruota ed in cui tutto si mescola attraverso pulsioni entropiche di inusitata bellezza. Sono le nostre idee che si concretizzano sotto la mano sapiente del Maestro. I nostri sentimenti, la nostra storia raccontata con la preziosità di quegli oggetti scelti e giustapposti, negli scaffali ampi e ricolmi, nelle vetrine appannate, nelle mobilie di valore, negli armadi del cuore. In quelle stupende nicchie vitali in cui solamente l’opera incessante del “bravo artista” può entrare, in punta di piedi, dolcemente, senza fare rumore alcuno, con il rispetto per quel tempo perduto che perduto non è, ma anche con la consapevolezza di un “artefice fertile e generoso” il cui unico scopo è quello di testimoniare, con grande capacità intuitiva e con altrettanta rigo- rosità selettiva, il valore più inebriante della nostra presenzialità terrena. Ed allora le pitture, le sculture, ma anche gli scritti, le geniali intuizioni artistiche che si dischiudono percorrendo quell’angusto studiolo pervaso di intrigante bellezza, altro non sono che la concretizzazione dell’essenza più profonda del pensiero. Di quella forza propulsiva capace di mediare proprio quel dualismo inscindibile, di platonica memoria, in cui solo l’intelligenza finisce per assumere il ruolo decisivo in grado di /…prendere le idee a modello e la materia come strumento…/.

Un mondo quello di Franco che si apre lentamente man mano che entri nella sua interiorità spaziale. In quell’apparente orto fatato ricco di preziosa memoria, pregno di sogni irredenti e gravido di cose vissute in una realtà comunque presen- te, anche se un tempo impietoso sembra non volere per nulla quell’inversione di rotta tra storia di ieri e storia di oggi, tra un atto vissuto ed un sogno sperato, tra un futuro presente e un presente passato.
Un insieme di cose parlanti che grida vorace al nostro cuore, al nostro spirito, alla nostra anima senza vergogna, senza tentennamenti, in maniera decisa e pene- trante con un linguaggio a volte forte, a volte vero, a volte profondo, ma sempre caratterizzato dalla percezione che il racconto ci appartiene, che nulla è al di fuori di noi, che non esiste nient’altro se non il nostro firmamento vitale, in cui tutto è presente, ed in cui c’è solo la consapevolezza che ogni essere esiste perché esiste il tutto, e che il tutto è tutto proprio perché tutto contiene, senza eccezione alcuna.

è un linguaggio, quello delle “cose” di Venanti, che parla direttamente al cuore, che comunica in rapido scambio con i meandri più reconditi dell’intelletto, e che finisce sempre per arricchire lo spirito, nell’eterno gioco tra sogno e realtà, tra amore e odio, tra ciò che è e ciò che non è, tra il senso stesso dell’evanescenza del pensiero e la carnale concretezza delle entità terrene. Un coro di voci convulse, gravido di un infinito stracolmo, descritto finemente da quel “parlar forbito” che emerge con vulcanica prorompenza da tutte le sue creature; siano esse opere pittoriche, siano esse rappresentazioni spaziali, siano esse oggetti, cose, documenti, attestati, oppure vestiti, cappelli, armature, o semplici bisce sotto spirito. Un tutto, fuso in un vortice energetico, rapido ed impietoso, che anima indiscreto l’areale delle nostre pulsioni, il cielo delle nostre passioni, il cosmo delle nostre aspettative, l’universo della nostra interiorità, in cui è il senso stesso della vita ad essere indiscusso protagonista dell’im- menso ed illimitato sogno dell’essere. E allora ogni piccola cosa presente intorno all’ “Uomo Venanti” finisce per parlare, di sé e degli altri, dicendo, raccontando, narrando e affabulando, della vita di uomini coraggiosi, di donne impenitenti, di personaggi celebri e non, ma anche di insignificanti attori di provincia, spesso emuli di una gloria che non arriverà mai, il cui destino, ormai segnato da arsi miraggi di vanità cadente, non sfuggirà per sempre all’eterno oblio.

Un “Divino Artigiano” Franco Venanti, che si racconta, e che ci racconta di sé e degli altri, attraverso /…parole pregne di un indiscusso valore artistico…/ che nascono nel profondo del suo cuore e che, volando attraverso le “cose” delle sua vita, finiscono per fermarsi su quelle sue deliziose pitture sotto forma di figure e di colore, ma sempre con l’infinita voglia di ripartire per approdare nei lidi più reconditi ed inesplorati della vera intellezione umana.

 

Estratto da
60 ANNI IN MOSTRA 1
Franco Venanti & 46 maestri dell’arte contemporanea umbro-toscani
A cura di: Eugenio Giannì